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Perché Airbus non si fida più del cloud americano

In questo articolo

Il gruppo aeronautico prepara una gara da oltre 50 milioni per spostare i dati più sensibili su infrastrutture Ue e ridurre la dipendenza dalle big tech statunitensi.

Airbus ha deciso di affrontare apertamente una delle fragilità strutturali dell’industria europea: la forte dipendenza dai grandi fornitori cloud statunitensi. A inizio gennaio 2026 il gruppo lancerà una gara da oltre 50 milioni di euro, con un orizzonte fino a dieci anni, per migrare applicazioni e dati mission-critical verso un cloud europeo definito “digitalmente sovrano”.

La finalità principale è ridurre l’esposizione a normative extraterritoriali come il CLOUD Act Usa, che consente alle autorità americane di richiedere dati controllati da provider soggetti alla loro giurisdizione, anche se conservati in Europa. La mossa di Airbus assume un peso simbolico in un mercato fortemente concentrato: secondo il Parlamento europeo, Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud controllano circa il 70% del cloud infrastrutturale europeo, mentre i provider Ue restano marginali.

Il cuore dei dati e il tema della sovranità

Al centro della possibile migrazione non ci sono servizi accessori, ma i sistemi che costituiscono il cuore operativo di un gruppo industriale globale: ERP, CRM, piattaforme di manifattura e strumenti di gestione del ciclo di vita del prodotto (PLM). In questi ambienti transitano supply chain, dati di progettazione, processi di fabbrica e integrazioni con fornitori e partner strategici. Informazioni che, se compromesse, generano danni non solo economici ma anche strategici e geopolitici.

È per questo che molte aziende europee, pur utilizzando cloud e suite collaborative statunitensi per la produttività quotidiana, continuano a mantenere questi sistemi on-premise o in architetture ibride. Airbus si chiede ora se esista un’offerta europea sufficientemente matura da garantire controllo, continuità operativa e resilienza anche per i carichi di lavoro più critici.

Costi, lock-in e la scommessa “80/20”

La gara che Airbus si appresta ad aprire non riguarda solo la tecnologia, ma anche prevedibilità economica e libertà contrattuale. Nelle grandi migrazioni cloud, il rischio di lock-in — tecnico e commerciale — è elevato, e cambiare fornitore può diventare proibitivo. Non a caso, l’azienda pone l’accento sulla stabilità dei prezzi lungo l’intero periodo contrattuale. Sullo sfondo si muovono anche i regolatori: la Commissione europea sta valutando il potere di mercato degli hyperscaler, mentre il Data Act mira a facilitare lo switching tra provider.

In questo contesto si inserisce la formula citata da Catherine Jestin: “80/20”, ovvero un’alta probabilità — ma non la certezza — che esista già oggi una soluzione europea in grado di sostenere per scala, maturità e copertura geografica sistemi così complessi. Il vero nodo resta giuridico: non basta che i dati siano fisicamente in Europa se il loro controllo legale ricade fuori dall’Unione. È questa consapevolezza, unita alla pressione della modernizzazione digitale, che spinge Airbus ad accelerare ora. Una scelta che potrebbe segnare un precedente per tutta l’industria europea.

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