Ogni giorno, oltre 30.000 aerei attraversano i cieli europei. In volo trasportano passeggeri, merci, ma anche una significativa quantità di emissioni: anidride carbonica, ossidi di azoto, particelle sottili e scie di condensazione. E mentre il settore si prepara a investire in carburanti sostenibili e nuove tecnologie, una parte del problema potrebbe essere risolta subito. Basta cambiare il modo in cui organizziamo le rotte.
L’aviazione inquina più di quanto si pensi
Secondo i dati più recenti, l’aviazione civile contribuisce per circa il 2,5–3% delle emissioni globali di CO₂. A questo si aggiungono gli effetti cosiddetti non-CO₂ — in particolare le scie di condensazione — che hanno un potenziale di riscaldamento persino maggiore rispetto alla CO₂ stessa. L’impatto complessivo dell’aviazione sul clima, infatti, può arrivare a essere due o tre volte superiore rispetto a quanto indicato dalle sole emissioni di anidride carbonica.

Uno studio condotto da Transport & Environment, organizzazione europea indipendente attiva nel campo della mobilità sostenibile, ha dimostrato che modificare appena il 3% delle rotte aeree — evitando le zone atmosferiche in cui le scie di condensazione sono più persistenti — potrebbe ridurre del 56% l’impatto climatico associato a questi fenomeni, con un aumento medio del consumo di carburante inferiore all’1%. Un risultato sorprendente, ottenibile senza investimenti infrastrutturali, solo con una riorganizzazione intelligente dei percorsi.
Il paradosso del cielo europeo
Ma perché non si vola già lungo le rotte più efficienti? La risposta è tanto semplice quanto frustrante: lo spazio aereo europeo è gestito in modo frammentato. Ogni Stato controlla il proprio traffico con regole e procedure diverse, come se i confini nazionali si estendessero anche in quota.
Questo sistema costringe ogni giorno migliaia di voli a percorrere tratte più lunghe del necessario, con deviazioni medie che superano i 40 chilometri per volo. La conseguenza è un aumento dei consumi, delle emissioni e dei tempi di percorrenza. Una vera e propria inefficienza sistemica, che grava sull’ambiente e sui costi operativi delle compagnie.
La soluzione c’è e si chiama “Cielo Unico Europeo”
Per superare questa frammentazione, l’Unione Europea ha lanciato già nei primi anni Duemila il progetto del Cielo Unico Europeo. L’obiettivo è creare un sistema integrato di controllo del traffico aereo, basato su blocchi funzonali transnazionali invece che su confini politici. In pratica, far volare gli aerei secondo la logica della fisica, non della geografia.
Secondo le stime tecniche, l’implementazione completa del Cielo Unico permetterebbe di ridurre fino al 10% le emissioni totali del traffico aereo europeo. Parliamo di decine di milioni di tonnellate di CO₂ all’anno. Un beneficio ambientale immediato, che si accompagnerebbe a voli più diretti, meno ritardi e minori consumi di carburante.
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Il ritardo che costa
Eppure, dopo oltre vent’anni di discussioni, il Cielo Unico resta in gran parte inattuato. Le cause sono molteplici: resistenze politiche, interessi nazionali, pressioni sindacali e una generale difficoltà a cedere competenze in un ambito strategico come il controllo dello spazio aereo. Intanto, le emissioni continuano ad accumularsi.
Nel frattempo, l’industria guarda ai carburanti alternativi (SAF), agli aerei a idrogeno, ai motori elettrici. Sono prospettive promettenti, ma lontane. La flotta attuale continuerà a volare per almeno altri quindici o vent’anni, e i SAF oggi rappresentano meno dell’1% dei carburanti utilizzati a livello globale. Puntare solo su queste soluzioni significa rimandare la transizione, non affrontarla.
Eppure, qualcosa si può fare adesso. Ottimizzare le rotte. Coordinare meglio i voli. Volare meno, ma meglio.
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