Per aver avviato la propria carriera nel settore alberghiero (in foto in copertina una delle camere del suo Trump Hotel di New York), Donald Trump non sembra far granché bene all’hotellerie statunitense. Già rinominato l'”effetto Trump” (che ha una certa assonanza con l’effetto Musk), quello che la presidenza del tycoon sta facendo al settore turistico e alberghiero americano è tutt’altro che riportarlo alla greatness americana che sbandiera sui suoi cappellini.
Cosa succede al turismo negli Stati Uniti di Trump
Nel primo trimestre del 2025 infatti l’economia statunitense in generale ha mostrato segnali di debolezza, con una contrazione del PIL dello 0,3% (dati della BEA), la prima (checché ne dica l’esecutivo Trump) dopo oltre due anni di espansione. Certo, l’inflazione, rispetto al biennio 2022-23, rallenta, ma galleggia sopra del target del 2% fissato dalla Federal Reserve.
Secondo dati di Bank of America, nei primi mesi del 2025 si è registrata una flessione del 6% nella spesa per biglietti aerei rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (a fine 2024 sembrava che l’insediamento di Trump avrebbe aumentato i traffici, ma il medio periodo ha dimostrato il contrario). Anche alloggi e servizi turistici hanno visto un ridimensionamento dei propri flussi, con una riduzione del 2,5% della spesa.
A peggiorare la situazione di incertezza economica, infatti, è lo spettro (in effetti già ben concretizzato dalla settimana bollente in cui aveva annunciato dazi per tutti, salvo poi rimangiarseli) di politiche economiche e commerciali aggressive promosse da parte dell’amministrazione Trump, ma anche l’apprezzamento del dollaro, che influenza il turismo internazionale.
E il comparto dell’hospitality si è visto così costretto a rivedere i propri bilanci, con i grandi gruppi alberghieri statunitensi costretti a ridimensionare le stime di crescita.
I segnali di allarme dal settore alberghiero
Le nuove previsioni per il 2025 sono:
- Marriott, pur contenendo la revisione, ha ridotto le sue stime di crescita del RevPAR da un intervallo del 2%-4% a uno compreso tra l’1,5% e il 3,5%;
- Hilton ha tagliato le stime da 2%-3% a un più cauto 0%-2%, con il CEO Christopher Nassetta ha segnalato una maggiore prudenza da parte dei consumatori, che prenotano con minore anticipo e prestano più attenzione al rapporto qualità-prezzo;
- Hyatt ha rivisto il RevPAR dalla forbice 2%-4% a quella tra l’1% e il 3%;
- Wyndham più dura, con un calo dal 2%-3% ad uno che tocca punte negative del -2% fino al massimo +1%.
Certo, oltre alla stagnazione della domanda i margini sono erosi da costi operativi elevati e minor possibilità di “giocare” sui prezzi.
Torna il “Trump slump”
Anche la prima presidenza Trump (2017-2021) aveva gettato luci e ombre sull’economia americana: le sue politiche fiscali, primo tra tutti il Tax Cuts and Jobs Act del 2017, hanno incentivato investimenti e creato un ambiente favorevole al breve termine per molte aziende, inclusi i colossi dell’hotellerie e il settore turistico, prima della pandemia, ha goduto di una crescita costante.
Secondo il National Travel and Tourism Office, tra il 2017 e il 2019 il numero di arrivi internazionali negli Stati Uniti è cresciuto meno che negli anni precedenti, e in alcuni mercati chiave (come il Messico e l’Europa) si è registrata una flessione. Allora si parlò di “Trump slump”, un rallentamento causato dalla percezione di una minore apertura del Paese verso i visitatori stranieri.
Basti pensare ai grandi eventi, che polarizzano l’interesse mondiale e generano flussi di turisti da ogni Paese, che, proprio a causa di politiche protezioniste e incertezza politica, possono risentirne: di questi giorni la notizia riguardante il cantante Bad Bunny, notoriamente anti-Trumpiano dopo gli insulti diretti dalla sua amministrazione a Porto Rico (definita “un mucchio di spazzatura”), di cui l’artista è originario, che non porterà nessuna data del suo tour mondiale negli States il prossimo anno. E sappiamo che i grandi concerti sono in grado di muovere grossi capitali, si pensi a Taylor Swift.
Ma non solo: basta aprire pagine Facebook e forum dedicati a grandi eventi sportivi, come le maratone di New York, Boston e Chicago, tre delle sei “majors”, ovvero il circuito Abbott delle maratone più prestigiose, per trovarsi sommersi da commenti di atleti che rifiutano inviti o non si iscrivono ai ballottaggi per aggiudicarsi un pettorale, pur di non “finanziare” gli Stati Uniti di Trump.
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